Il fraseggio nell’interpretazione del linguaggio del corpo

Il linguaggio del corpo, benché non vocale o scritto, condivide con questo, e anzi le rende più complesse, alcune sue caratteristiche e, nello specifico, quella della temporalità e della sequenzialità: come una successione di parole forma un frase, una successione di gesti e di espressioni forma un movimento  e, in entrambi i casi, il significato di tale sequenza (parole o gesti) dipende dai singoli elementi che la compongono, da come questi sono espressi (la para-verbalità per le parole e la teatralità per i gesti), dal contesto in cui la sequenza si manifesta, da cosa è stato “detto” prima e sarà “detto” poi.

Nella comunicazione non verbale, tuttavia, c’è un livello di complessità in più, dato che la natura del nostro corpo consente di emettere gesti ed espressioni attraverso differenti canali, cioè tutte quelle parti del corpo che possono essere muscolarmente controllate in modo indipendente – braccia, gambe, occhi, bocca e così via – cosa che introduce una dimensione ulteriore di analisi, dato che questa molteplicità di fonti si traduce sia nella possibilità di avere un unico fraseggio composto da elementi differenti (ad esempio, incrocio le braccia, le caviglie, distolgo lo sguardo e il mio volto manifesta un’espressione di disprezzo, cosa che evidenzia una netta volontà di chiusura), sia di avere più fraseggi in parallelo, non necessariamente logicamente connessi, come accade ad esempio quando si tenta di mascherare un’emozione attraverso il tentativo di controllo volontario della gestualità e del volto (ad esempio, indirizzo involontariamente i piedi verso una direzione di fuga e mi afferro un polso con la mano, ma allo stesso tempo faccio un sorriso di convenienza, non sincero, che non nasconde la mia volontà di interrompere il contatto).

Benché la gestione di questa complessità sia ben indirizzata dalla regola delle “3 C” e dal comportamento basale (o, volendo unificare il tutto, dalla regola delle “5 C” - Contesto, Complesso, Coerenza, Consuetudine, Cambiamento) (1) (3), è evidente come, nella pratica, il tener conto di tutti questi aspetti sia operazione tutt’altro che facile, sicuramente ben più complessa del semplice ascolto nel caso di una comunicazione verbale.

La difficoltà, nello specifico, sta non solo nel riuscire ad osservare l’interlocutore nella sua interezza – qui le donne sono avvantaggiate in virtù del loro angolo di visione periferica di circa 45°, più ampio di quello maschile – ma anche nel capire se ciò che avviene deve considerarsi parte di una stessa frase o di più frasi, nel caso anche in contrasto tra loro e, il tutto, ovviamente poi collegato a quanto viene detto vocalmente.

Se poi si considera che, mentre il parlato può essere ripetuto, ciò non è possibile per il non verbale (si veda, a tal proposito, il mio precedente articolo), ne consegue che non solo è necessario osservare attentamente, ma dobbiamo anche non perdere l’attimo, dato che solo così avremo gli elementi per poter provare a capire come il fraseggio si sta sviluppando e cosa esso possa significare.

Rispetto al parlato, inoltre, dove l’ordine delle parole in alcuni (molti) casi non ha influenza sul significato complessivo della frase, dato che è esperienza comune che a diverse strutture sintattiche possa corrispondere una stessa struttura semantica (si pensi, ad esempio, alla forma attiva o passiva dei costrutti verbali), ciò è ben più raro (impossibile) per la comunicazione non verbale, dove una sequenza anche breve di gesti ed espressioni ha in genere un significato ben diverso dalla sequenza dove questi sono invertiti, cosa particolarmente importante nel caso la sequenza interessi sia gesti ed espressioni negativi, che positivi: ben diverso, per quanto riguarda l’andamento della conversazione, è il passare da una gestualità negativa ad una positiva (recupero della situazione) rispetto all’inverso (compromissione della situazione).

Infine, a peggiorare ancor di più la situazione, semmai ce ne fosse bisogno, entra in gioco anche lo stato emotivo del soggetto emittente, che potrebbe essere tale da perturbare l’andamento della conversazione, attraverso una gestualità e una mimica facciale conseguenti all’improvviso all’affioramento inconscio di emozioni (2), che nulla hanno a che vedere con l’oggetto della conversazione, ma che potrebbero essere evocate da qualcosa che viene detto o mostrato.

Come concludere, se non rimarcando ancora una volta la difficoltà dell’interpretazione del linguaggio non verbale e l’importanza di seguire, sempre e comunque, anche se ciò non è facile, quanto ci dice la metodologia (forse questo è un termine eccessivo, visto il carattere solo parzialmente scientifico di tale tipo di interpretazione), e ricordando anche che ogni atto comunicativo si svolge sempre “qui e adesso”, per cui ogni regola, ogni buona prassi, deve sempre essere reificata secondo la specificità dell’atto stesso e del contesto in cui questo si realizza.

 Andrea Zinno - De Corporis Voce


Riferimenti bibliografici
  1. Allan Pease e Barbara Pease - “The Definitive Book of Body Language” - 2006
  2. Paul Ekman - “Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste” – 2010
  3. Kasia Wezowski, Patryk Wezowski - "Without Saying a Word: Master the Science of Body Language and Maximize Your Success" - 2018