Qui e adesso, lì e poi

La forza della componente non verbale della comunicazione è anche la sua debolezza.

La sua genuinità, la difficoltà di essere controllata e la sua diretta connessione con la componente emotiva in carico al sistema limbico, caratteristiche che ne decretano la sua superiorità espressiva (mio personale punto di vista) rispetto alla componente verbale, rendono per contro il linguaggio del corpo di non facile interpretazione, e non tanto perché la sua decodifica non sia stata ampiamente studiata (1) (2), ma perché viene meno uno degli aspetti caratteristici della componente verbale: la possibilità, in caso di dubbio, di parziale comprensione, di disattenzione al parlante, di chiedere di ripetere ciò che si è detto.

Chiedere di ripetere ciò che si è detto è una prassi comune, che forse denota disattenzione, ma se la richiesta è fatta con garbo, difficilmente qualcuno se ne avrà a male. Discorso diverso per la parte non verbale, la cui richiesta di ripetizione è mal fondata ab origine, dato che: (A) la componente non verbale è sostanzialmente involontaria, per cui il soggetto emittente difficilmente ha la consapevolezza della sua mimica facciale, della sua postura e dei suoi movimenti, per cui non saprebbe nemmeno cosa dovrebbe ripetere; (B) ancorché la consapevolezza ci sia, la ripetizione sarebbe un puro gesto fisico, una simulazione, esattamente come lo è il gesto dell’attore, che mima senza provare interiormente il corrispondente stato emotivo (qui forse c’è l’eccezione del metodo Stanislavskij (3)) e sarebbe pertanto un apparire senza un essere; (C) non è un argomento rigoroso, ma temo saremmo presi per pazzi dal nostro interlocutore.

La gestualità e la mimica facciale sono quindi sempre “qui e adesso” – è questa la loro incredibile potenza espressiva – catturano inconsapevolmente il momento e le emozioni, e se vengono perdute nel momento, allora sono perse per sempre e se anche potessero essere replicate, lo sarebbero “lì e poi” e diventerebbero allora solo un gesto fisico e non una rappresentazione di ciò che si sta provando.

L’osservazione attenta e continua è quindi indispensabile, ma l’osservazione stessa è un segnale corporeo, che trasmette un messaggio a chi è osservato – chi non si ricorda, da piccolo, il monito dei genitori “non si fissano le persone!” – inducendolo a reagirvi in un modo che potrebbe influenzare il suo comportamento e il modo in cui questo è manifestato.

In pratica, quindi, se non osserviamo perdiamo qualcosa, ma se osserviamo troppo, allora influenziamo qualcosa ed entrambe le cose sono non soddisfacenti per una chiara e completa comprensione. Detto in altre parole, abbiamo un atto di misura che potenzialmente influisce su ciò che viene misurato.

Una disciplina di per sé complessa, diventa allora ancora più complicata e non è un caso, laddove sia possibile, che la comunicazione viene registrata per essere analizzata poi – interrogatori delle forze dell’ordine e sedute con pazienti affetti da particolari patologie, per fare alcuni esempi – potendo sfruttare ciò che la tecnologia ci dona per rilevare ciò che potrebbe esserci sfuggito.

Naturalmente non sempre, anzi, molto raramente, è possibile analizzare ex-post ciò che viene detto attraverso la parte non verbale e, ancor quando ciò viene fatto, va considerato che la ripresa normalmente cattura il parlante e non il contesto in cui questo si trova, per cui non è possibile dire se un suo specifico atteggiamento sia legato a ciò che stava dicendo o a qualcosa che è accaduto intorno a lui.

Ad esempio, immaginate che un oratore venga ripreso durante il suo intervento, sia esso, che so, un politico o un predicatore, e che poi venga analizzato il suo discorso a posteriori, alla ricerca di micro-espressioni (2) o di gesti che potrebbero tradire ciò che ha detto. Ora, immaginate che durante la sua orazione la persona abbia notato, nella platea, una persona a lui cara e che non vedeva da tempo; è probabile che sul volto, indipendentemente da ciò che stava dicendo in quel momento, affiori una mimica tipica della gioia; al contrario, immaginate che veda un comportamento particolarmente fastidioso, ad esempio una persona che sta parlando al telefono invece di ascoltarlo: è probabile, in questo caso, che l’espressione sia quella di un fugace disprezzo.

In entrambi i casi queste espressioni sarebbero ragionevolmente rapide, quasi delle micro-espressioni, che se rilevate ex-post, soprattutto quella del disprezzo, potrebbero suggerire che ciò che veniva detto non fosse sincero, inquinando in modo significativo l’intera orazione, visto che potrebbe venire meno la credibilità del parlante.

Qui è evidente l’errore di valutazione, che forse potrebbe essere evitato osservando i movimenti oculari dell’oratore – lo sguardo che si fissa su un punto della platea, ignoto nelle riprese, ma ipotizzabile – collegandoli alla caduca espressione e facendo sorgere il dubbio che questa sia in un certo senso decontestualizzata dal discorso.

Errore e possibile correzione a parte, spero sia comunque evidente quanto l’analisi del linguaggio corporeo sia irta di difficoltà, soprattutto in quei casi dove solo la diretta è possibile, dove non ci sia una seconda possibilità di analisi – se incontro un cliente per una trattativa complessa, non posso certo filmarlo per un successivo esame – e tutto deve basarsi sulle capacità di cogliere ciò che accade, nel momento in cui accade, cosa tutt’altro che facile e, forse, nemmeno interamente possibile.

 Andrea Zinno - De Corporis Voce


Riferimenti bibliografici
  1. Allan Pease e Barbara Pease - “The Definitive Book of Body Language” - 2006
  2. Paul Ekman - “Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste” – 2010
  3. Wikipedia - Il metodo Stanislavskij