Sulla codificabilità dell’interpretazione del linguaggio del corpo

Rincorriamo sempre la semplificazione, cosa di per sé positiva, in generale, tranne quando questa volontà cozza contro fenomeni che sono intrinsecamente complessi, non completamente codificabili e dipendenti dal contesto nel quale si verificano.

Semplificare è una buona cosa, quando ciò sia possibile, se non altro perché farlo risponde a un principio di economia e ridurre gli sforzi, in senso generale, è più o meno sempre un obiettivo sostenibile e auspicabile.

Semplificare quando non si dovrebbe - o non si potrebbe - è però molto pericoloso: è la strada verso l’approssimazione e la comprensione parziale, se non del tutto errata, di un fenomeno; è il modo per trarre facilmente conclusioni sbagliate; è il confermare ciò che la saggezza popolare ci dice con “presto e ben, raro avviene”.

Molto spesso, questa volontà estrema di semplificazione passa attraverso l’enunciazione di regole e/o nessi causali, che altro non fanno che darci l’illusione che “se A allora B”, sempre e comunque, trascurando quelle infinite variazioni che, soprattutto quando le regole sono dirette verso di noi e verso i nostri stati emotivi, sono un elemento imprescindibile per un corretto tentativo di lettura.

Nel caso della comunicazione non verbale e della sua interpretazione, questa volontà di semplificazione è piuttosto manifesta e si realizza in molti “manuali” (non uso volutamente il termine “libro” e dico “molti” e non “tutti”, dato che, fortunatamente, ci sono anche le eccezioni) che pretendono di codificare la lettura del corpo con regole algoritmiche, dimenticando che uno degli assiomi di tale disciplina è proprio il fatto di non essere scienza e, quindi, difficilmente soggetta ad un approccio scientifico, codificabile e ripetibile.

Quante volte leggiamo - o ci dicono - che “se il nostro interlocutore incrocia le braccia, allora si sta chiudendo, non è d’accordo, non è disposto ad ascoltarci”, oppure che “se qualcuno dice una cosa e si tocca le labbra, allora sta mentendo”. Se tutto fosse così semplice, meccanico, ognuno di noi sarebbe, se fosse anche un buon osservatore, un’eccellenza dell’interpretazione del linguaggio del corpo. Ovviamente non è così e le regole sono solo un punto di partenza e lo sono in quanto recettori di segnali, che poi devono essere approfonditi, analizzati e, solo all’ultimo, interpretati.

Ogni gesto, ogni movimento del corpo, è sempre “qui e adesso” e risente del vissuto del soggetto emittente, del suo stato emotivo, delle sue abitudini gestuali e del contesto in cui la comunicazione sta avvenendo. Ci sono, insomma, così tante variabili che l’impossibilità di un’applicazione algoritmica delle regole dovrebbe risultare lampante ma, anche se la regola delle “3 C” e il comportamento basale (1) dovrebbero essere il mantra dell’interpretatore, spesso non è così: sappiamo che dovremmo tenerne conto, ma tendiamo spesso a non farlo, assegnando a una sensazione, a un’ipotesi, una certezza che non le appartiene, preferendo una conclusione del tipo “ha incrociato le braccia, quindi si è chiuso” a uno spunto di approfondimento come, ad esempio, “il suo incrociare le braccia non sembra in sintonia con quanto sta dicendo e con la gestualità immediatamente precedente”.

Vedendola in altri termini, questa tendenza alla meccanizzazione dell’interpretazione altro non è che una sorta di pregiudizio circa l’efficacia delle regole, un pregiudizio sulla fiducia che in esse si può riporre, che spesso deriva dal dimenticare che - e qui spero tutti siano d’accordo - l’interpretazione del linguaggio del corpo non è una scienza esatta (ciò che più gli si avvicina sono gli studi e i risultati conseguiti da Paul Ekman in merito alla mimica facciale delle emozioni cosiddette universali (2)(3), ma anche questi, come sottolinea l’autore, sono sempre influenzati da elementi esterni e contingenti dai quali non si può prescindere).

Non bisogna però essere pessimisti e la cautela appena discussa deve essere vista come un’incitazione alla riflessione, all’attenta analisi di ciò che il corpo comunica, al non dimenticare mai il passato dell’interlocutore e il presente nel quale si realizza la comunicazione, al tenere sempre a mente le abitudini mimiche e gestuali di chi ci sta davanti e, infine e con la massima attenzione, ciò che noi comunichiamo con il non detto e l’influenza che ciò ha su chi ci sta davanti.

 Andrea Zinno - De Corporis Voce


Riferimenti bibliografici
  1. Allan Pease e Barbara Pease - “The Definitive Book of Body Language” - 2006
  2. Paul Ekman - “Giù la maschera. Come riconoscere le emozioni dall'espressione del viso” - 2007
  3. Paul Ekman - “Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste” - 2010